Come tutto ebbe inizio…
Mi chiamo Tallulah Ganesh, 29 anni, nata e cresciuta a New Haven, Connecticut. Per colpa delle mie origini, dei miei tratti orientali e della mia pelle olivastra, nove notti fa sono stata rapita, segregata insieme ad altre ragazze e marchiata col nome di “Shahrazād 17esima”. In questa umida e fredda prigione siamo in sette, divise in tre stanze/celle; non so che fine abbiano fatto le prime dieci.
Ho deciso di scrivere queste righe due notti fa, quando ho realizzato le scarsissime possibilità di essere ritrovate e salvate da questo luogo e dall’uomo che ci ha trascinato qui: il re persiano Shahriyār. Se sono in grado di lasciare queste note è solo grazie a Saria, una delle ragazze con cui condivido la cella; lei è l’unica delle prigioniere, oltre me, ad aver passato una notte col nostro finto re ed essere ritornata qui. Grazie all’influenza positiva che lei e la sua ocarina hanno avuto sull’uomo che ci sta facendo tutto questo, ho potuto ottenere una penna e un block notes per poter lasciare queste parole a chi forse verrà dopo di noi e, al tempo stesso, per poter tenere traccia di tutto quel che sto raccontando al folle finto re senza il rischio di perdermi o ripetermi; entrambe cose che, senza dubbio, sancirebbero la mia fine.
Forse sto correndo troppo, sarebbe meglio riordinare un po’ le idee.
Ecco quello che sappiamo: un uomo bianco, senza dubbio di questo stesso paese, mai visto prima, ci ha stordito o drogato o addormentato, una per una, in momenti di distrazione o lungo strade isolate, caricato in macchina e trascinate in quelle che sembrano le segrete di un vecchio castello medievale, con muri e pavimento in pietra e nessuna finestra o spiraglio verso il mondo esterno che possa darci un qualsivoglia indizio sul luogo in cui ci troviamo. Quest’uomo non è un re, così come di certo non è persiano, nonostante si sia auto-proclamato tale. Il nome Shahriyār, al pari di quello ben più conosciuto di Shahrazād, provengono dall’antica storia su cui si basano tutte le vicende della raccolta de “Le mille e una notte”, nella quale i due protagonisti erano proprio il re persiano che, dopo il tradimento della moglie, uccise lei e tutte le donne che sposava e con cui passava la prima notte, e la giovane e bella protagonista, figlia del visir, che si offre volontariamente in sposa al re per fermare quella terribile serie di omicidi.
Perché siamo qui? Probabilmente per lo stesso motivo di Shahrazād: salvare la mente del nostro sequestratore e, allo stesso tempo, le nostre vite. È vero che non sappiamo che fine abbiano fatto le dieci ragazze che occupavano queste celle prima del nostro arrivo, ma è anche vero che le loro urla, distanti e strazianti, che ancora risuonano nella testa e nel cuore di Saria, lasciano ben poco spazio all’immaginazione.
La nostra unica possibilità di salvezza, per il momento, è quella di assecondare la follia del bastardo nella speranza di sanarla, in qualche modo, o di ottenere abbastanza tempo finché non si palesi una chance per la fuga di tutte noi. Ecco perché, una volta venuta a conoscenza della situazione, ho raccolto tutto il coraggio che il mio cuore mi permetteva di sopportare e mi sono offerta volontaria per la prima delle ultime nove notti, per quelle le seguenti e per le prossime che verranno, sperando non siano davvero più di mille.
Nessuna di noi è una scrittrice o conosce storie abbastanza affascinanti da poter incantare l’infame che ci sta facendo tutto questo e placare il suo sconvolgimento interiore, tuttavia il fatto che Saria fosse riuscita, tramite il suono della propria ocarina, a superare indenne diverse notti mi diede un’idea, forse più folle del folle stesso con cui avevamo a che fare.
La musica mi aveva più volte, da ragazzina, salvato la vita fino al punto da convincermi a farne un mestiere: divenni una talent-scout per una piccola casa discografica. Non conosco molte storie, dunque, ma conosco moltissime canzoni, di tutti i generi, e alcune hanno davvero il potere di trascinarti, tra musiche e testi, in mondi paralleli dove accadono cose straordinarie.
Eccomi qui, quindi, a prendere appunti sui testi musicali che ho già usato per creare racconti che mi permettano di sopravvivere in quest’incubo surreale una notte di più, ringraziando il cielo di essere ancora viva ogni mattina e trattenendo lacrime e singhiozzi a ogni tramonto. A proposito, è quasi ora; tra poco tornerà a prendermi e mi trascinerà con lui, mi lascerà in ginocchio sul pavimento, con le mani legate a una fune che scende dal soffitto, mentre dal suo letto faraonico e sfarzoso mi fisserà con quegli occhi da pazzo bastardo, impaziente di sentire una nuova storia o le mie urla imploranti.
Aiutatemi, vi prego.